Venerdì sera pre lungo ponte, ore 21. Invece che essere galvanizzata sono in ansia. Eppure il venerdì sera è sempre stato il mio momento preferito. Sono appena rientrata da 5 giorni
londinesi lontana da figlia, marito e
tata. Quando riassapori la libertà, il
ritorno alla realtà è uno shock. Riuscire a cagare per 5 minuti di fila
senza che nessuno entri in bagno con te dicendo pure mammachepuzza era un lusso
che avevo rimosso.
Guardo un film con Drew Barrymore, svogliatamente. La iena
sta dormendo, mio marito, “stranamente”, non c’è. Intanto chatto con la mia
nuova amica Brandi, la mamma di un bimbo che va a scuola con la iena. Stasera ho il mood malinconico, mi
chiede perché, le dico che ho le scarpe
troppo strette anche se sono del mio numero.
In effetti dopo la gravidanza mi è cresciuto il piede di mezzo numero. Così ho avuto la scusa di
poter cambiare tutta la scarpiera. Tranne
le Manolo Blahnik e le Louboutin. I pezzi vanno conservati a prescindere. Ah,
ho anche cambiato tutto il guardaroba
perchè mi si è allargato il torace. E poi ho 41 anni e, come qualcuno mi ha
fatto simpaticamente notare, mi sono imborghesita e, attenzione, ripulita. Tra i denti mi ha anche dato
della mantenuta ma sorvoliamo. E’ pur sempre vero no? E da buona
ripulitamantenutaimborghesita sono stata
costretta a cambiare guardaroba. Mica posso vestirmi sempre da ragazzina o
come una stracciona.
Puoi togliere la
ragazza da Rho ma non Rho dalla ragazza. E’ un detto che è stato adattato.
Credo che in origine ci fosse il Bronx o qualche quartiere periferico
londinese. Ecco. Il punto è che la
ragazza da Rho è stata tolta. Ma Rho dalla ragazza no. Io rimango io. Vado
a farmi le unghie e il colore dal parrucchiere. Ma la sostanza non cambia. Non
è perché vivo nel centro di Milano e ho sposato un avvocato che può far di me
una “ripulita”.
Anyway, non si stava parlando di alta borghesia milanese ma
di scarpe troppo strette. Che,
tradotto, vuole dire che quando si ha una vita fortunata e senza reali
problemi, i problemi si devono creare.
E’ sostanzialmente un fatto legato alla leopardiana teoria del piacere. Cioè, il concetto è proprio quello della teoria
del piacere, traslato sulle scarpe troppo strette.
E’ il 1820 quando
il buon vecchio Giacomo, in quel di Recanati, elabora la teoria del piacere. Senza dilungarmi in pedanti disquisizioni
filosofico letterarie la spiego in due
parole. Quelle due parole che durante gli anni alla facoltà di lettere mi
permettevano di memorizzare velocemente il concetto. Me l’ero immaginata più o
meno così: il cielo tende una corda con
una specie di asola invitando ad afferrarla. Più ci si affanna meno si riesce a
prenderla. Il desiderio è illimitato e il piacere che si ricerca è, di
conseguenza, infinito. Ma non può essere soddisfatto perché l’asola è
inafferrabile. Si cerca quindi rifugio nell’immaginazione che però, scemata l’età
dell’illusione, è talmente debole da non esistere più.
Gli anni alla facoltà
di lettere erano anche gli anni dell’illusione. Quando le scarpe erano ancora
abbondantemente larghe. Ora è diventato assolutamente impossibile
rifugiarsi nell’immaginazione. Quello
che vale ora è solo la fuga. Una fuga vera a gambe levate, non una fuga nel
magico mondo della fantasia. Quanto sarebbe facile. Quanto sarebbe liberatorio.
La iena ha la faringotonsillite
acuta con tanto di placche purulente in tutta la gola. Ecco perché venerdi sera
pre lungo ponte, ore 21 avevo l’ansia. Ah, ha pure un fortissimo acetone ed è
quindi a rischio vomito antibiotico. Un disastro. E come tutti i bimbi malati è accozzata a me, giorno e notte, appesa alla
gamba e al collo, con quella nenia lamentosa continua. E io non riesco a
respirare. Altro che scarpe strette, è come se quell’asola tesa del cielo mi stesse
strozzando. E allora prendo l’ipad e medito la fuga. Guardo i voli per Alghero,
teatro di meravigliosi ricordi sturm und drang. Guardo le case a Tenerife.
Cerco qualche amica per uscire a pranzo. O a cena. Voglio solo scappare lontano, Respirare aria depurata dallo
streptococco. Cazzo di streptococco.
Poi però mi arrendo a
quegli occhietti cerchiati e violacei. A quel musetto triste. A quel
corpicino vivacissimo senza energia. Scappo, si. Ma in farmacia a comprare
antibiotico e fermenti. Coca Cola e Biochetase. Grissini e banane. Si, mi
arrendo. Le scarpe sono un po’ strette
ma i piedi non fanno più male.
Sempre caro mi fu
quest’ermo colle,
e questa siepe, che da
tanta parte
dell’ultimo orizzonte
il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando,
interminati
spazi di là da quella,
e sovrumani
silenzi, e
profondissima quïete
io nel pensier mi
fingo, ove per poco
il cor non si spaura.
E come il vento
odo stormir tra queste
piante, io quello
infinito silenzio a
questa voce
vo comparando: e mi
sovvien l’eterno,
e le morte stagioni, e
la presente
e viva, e il suon di
lei. Così tra questa
immensità s’annega il
pensier mio:
e il naufragar m’è
dolce in questo mare.