Oh no. Ci risiamo. Galeotto sembrava proprio un’eccezione. Ben motivata tra l’altro. E ben
inframmezzata dal solito trash. E allora che è sto titolo? Un indottrinamento
sulla guerra di Troia? La storiella la sanno tutti, Troia è una città, non una parolaccia. Anche se, in fondo, potrebbe pure essere una parolaccia perché
il mito racconta che Elena, la donna più
bella del mondo, maritata a Menelao, Re di Sparta, si prese una sbandata pazzesca per il bel Paride, secondogenito di
Priamo, Re di Troia, e se ne scappò con
lui scatenando la guerra. Ovviamente so
tutto ciò per aver visto Troy dove il bel Paride aveva lo splendido volto
di quella disfunzione ormonale umana di Orlando
Bloom. E cerco di non pensare ad Achille/Brad Pitt se no perdo
definitivamente il filo del discorso. Ecco.
Il filo del discorso è il cavallo. Quello di Troia.
Che non era il cavallo con cui Elena
scappò per andare da Paride, cioè, non era il suo cavallo. Ma un ingegnosissimo stratagemma messo a
punto da un certo signor Ulisse che finse di rinunciare alla guerra di
Troia omaggiando Re Priamo con un cavallo di legno come segno di pace. Peccato
che il cavallo contenesse i guerrieri greci più valorosi che, una volta
penetrati all’interno delle mura, fecero
secchi i poveri e ignari troiani.
Ma tutto questo già si sa. Tornando a Galeotto, quello che sembrava proprio un’eccezione, torno
anche al mio amato Dante e a un altro dei canti più celebri del suo Inferno,
il XXVI. Tutti conoscono il canto di
Ulisse. Persino la nuova Miss Italia, eletta l’altra sera su La7, ha un
tatuaggio sopra la tetta sinistra che riporta i versi 119 e 120 del XXVI canto
dell’Inferno:
“fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza”
Non voglio fare la purista o la snob. Né toglier nulla alla
bella Giulia, la nuova Miss Italia, che ha dichiarato di aver scelto di
tatuarsi quei versi perché si sente figlia di Dante. Ma giuro, tutte le volte che sento citare la Divina
Commedia alla carlona o per sfoggio di erudizione mi viene un urto di vomito.
Come quando il dentista usa lo specchietto per tenere ferma la lingua.
Supponiamo che la maggior parte di coloro che leggeranno
conosca, pressappoco, “lo maggior corno
de la fiamma antica”. Lo do per scontato. Alla domanda del perché Ulisse, “lo
maggior corno della fiamma antica”, sia punito
insieme a Diomede nella bolgia dei consiglieri di frode, chiunque
risponderebbe serenamente e con assoluta certezza: “per aver detto ai suoi
uomini “fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”,
incitandoli a compiere il “folle volo”, oltrepassando
le Colonne D’Ercole, limite del mondo esplorabile. Risposta sbagliata.
Il peccato per cui Ulisse è eternamente punito nell’Inferno è proprio il cavallo di Troia. Insieme al
furto del Palladio e alle armi di Achille. Nell’ottava bolgia sono dannati
coloro che, nella vita, hanno fatto un
cattivo uso dell’ingegno. Coloro che hanno
adoperato per conseguire con frode il trionfo. Viene punita l’astuzia, l’abuso
di intelligenza, la malizia politica. Il
cavallo di Troia ne è l’emblema. Poi c’è il furto del Palladio, statua di Atena protettrice della citta di
Troia, peccato di cui Ulisse si macchiò insieme allo minor corno de la fiamma,
Diomede. E sempre con Diomede, Ulisse
portò via per sempre Achille alla povera Deidamia con l’inganno delle Armi. Deidamia, figlia del Re di Sciro Licomede, innamoratasi
perdutamente del valoroso Achille, lo
aveva travestito da donna e nascosto in mezzo alla corte per sottrarlo alla
guerra. Ma i dispettosi Ulisse e Diomede si presentarono a Sciro fingendosi
mercanti e mostrando ad Achille alcune
armi, risvegliandone lo spirito guerriero che indusse Achille a seguirli
abbandonando la straziata Deidamia.
Bene, ricordo a tutti a voi che Achille in Troy era Brad Pitt. Mi si è risvegliato lo spirito guerriero.
Grazie Ulisse. Grazie Diomede. Se
fosse rimasto insieme alla straziata Deidamia non avremmo potuto sognare per
giorni e giorni i bicipiti pompati di Brad.