Lesson number one.
Quest’estate, la mia amica Cristina e io, abbiamo avuto la brillantissima idea
di iscriverci al FCE, corso di inglese
del Comune di Milano di livello 9/10. Ci siamo informate, dopo aver superato
l’esame del Trinity 8 a giugno, quest’anno abbiamo i requisiti necessari per
poter accedere al First. Potremo
sostenere l’esame per agguantare il First Certificate. Mica pizza e fichi.
Partiamo cariche, anche se siamo perfettamente consapevoli
del gravoso impegno che ci siamo accollate, due sere a settimana dalle 20 alle 22. Cri tenta di bigiare la
prima lezione ma poi il senso di colpa prevale e si presenta. We are ready to
start!
Siamo una quindicina, disposti a ferro di cavallo. L’insegnante
ci chiede, uno per uno, come mai abbiamo scelto il first. Io sono l’ultima, ho
tutto il tempo per pensare una risposta originale. Sembrano tutti
secchionissimi, mi sento a disagio di brutto. Parlano sciolti, sono disinvolti,
riescono a dialogare sorridendo. L’emicrania
che latita dalla mattina inizia a montare pesantemente. E’ il turno di Cri
poi tocca a me che dico che “I want to
improve my english for travelling because when I am abroad it’s a disaster”.
Lo pronuncio peggio di Aldo, Giovanni e Giacomo a lezione da Roy Hodgson a Mai
dire Gol. Quello sketch di “the
pen is on the table”, per intenderci. Il senso è che quando sono all’estero
e, per esempio, la hostess mi chiede se voglio tea or coffee, io chiudo il
cervello e rispondo “yes”. Il senso è che ho scelto il FCE 9/10 perché spero di
poter fare molta più conversazione e sbloccarmi.
La risposta di Rossana, the teacher, e l’andamento della
lezione fanno aumentare il mio mal di testa fino a diventare intollerabile. Capiamo immediatamente che chi è lì, si
sottopone all’estenuante turno bisettimanale dalle 20 alle 22 per ottenere il
certificato. Serve per il CV, per il lavoro. Not for myself or for
travelling. E tutto è basato sulla preparazione dell’esame e non su un’allegra
conversazione tra pari livello su cosa hai fatto nel week-end. Oh oh. Ci
guardiamo sconsolate. Abbiamo appena speso 396 euro. E non è da signore mollare
alla prima difficoltà.
Vado a casa con un’emicrania
feroce. Naturalmente ho tutti i rimedi a portata, il mio negozio preferito
è la farmacia e ho una vera fissazione per i principi attivi dei medicinali per
combattere il mal di testa. Paracetamolo,
ibuprofene, nimesulide, sale di lisina, l'acido acetilsalicilico e, per i casi
più gravi, paracetamolo più codeina e ibuprofene più codeina. Ho le mie
scorte personali che mia sorella Sara mi porta da Boots, il tempio londinese
della farmacia.
L’unico vero dramma è che l'assunzione frequente di analgesici
o Fans può portare alla cronicizzazione
del dolore. E che ormai ho provato qualsiasi tipo di principio attivo e ne
sono assuefatta. Il mal di testa non
migliora. Vorrei spaccarmela contro la parete. Vago, nella notte. Mio marito russa beatamente, il che, di certo, non
aiuta. Provo i rimedi della nonna,
ghiaccio, mollette sulle 10 dita, buttare indietro la testa senza il cuscino,
sale grosso bollente. Poi mi ricordo che mia sorella, quando era incinta di
Giudittona, impazziva di mal di testa e non potendo prendere farmaci riusciva a
debellarlo con caffè nero e limone
spremuto. Insieme.
Contemporaneamente. Mi convinco che il peggio che può succedermi è
vomitare. Preparo la miscela, con mani tremanti e mi accingo a ingurgitarla di
fianco al cesso con la tavoletta alzata. Chiudo gli occhi e bevo. Fingendo che sia uno shottino di rum e
pera.
E poi accade il
miracolo. In una manciata di minuti il mal di testa passa, completamente.
Non riesco a prendere sonno subito per la caffeina nelle vene alle 5 del mattino.
Fuori albeggia e io vedo la luce dopo
una notte insonne. Mia sorella e Giudittona mi hanno salvata dall’isteria.
Il caffè con il limone funziona davvero. Garantito. Garantito al limone.
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