Il 15 di agosto è
un po’ come fosse il Capodanno estivo. Un 31 dicembre caldo. Per quelli che
vivono in questo emisfero. Anzi no. Forse è un po’ più come fosse l’8 dicembre.
Sempre di Madonna trattasi. Senza essere blasfemi. Che poi io, un 8 dicembre di
10 anni fa, mi sono pure sposata. Comunque, facciamo che il 15 di agosto sia l’8 dicembre estivo, quindi, in
definitiva, un giorno da festeggiare.
Per tradizione di solito si celebra con pranzi che neanche Pantagruele e
Gargantua insieme, con gite fuori porta e come “un giorno di ferie”.
Il 15 di agosto del
2016 lo abbiamo festeggiato su, nella verdeggiante e fresca Valle di Ledro. Località Pur. Una bella
giornata di sole a incorniciare il lago immacolato e straordinariamente pulito.
Quasi da bere. Un risveglio lento, lazzarone, poco propenso al fare. Qualche
timida iniziativa, qualche proposta, un pic nic, la solita polenta su al
fienile, un barbecue. Dopo esserci
riuniti in consiglio decidiamo per il ferragosto alternativo. Un po’ come
andare a letto prima della mezzanotte a capodanno. O a stare a casa l’8
dicembre, anche se siccome a Milano il 7 è Sant’ Ambrogio, c’è il ponte.
Un pranzetto frugale, i soliti 5, l’avvocato mio marito, io e Connie più i residenti estivi fissi Sergio
Pedrazzini e Jessica, la Regina del Burraco. Nessun altro. Nessuno dei 250
parenti che abbiamo, nessuno dei 4000
amici che abbiamo. Nessuno dei 602 nipoti che abbiamo. Nessuno. Dopo la nanna
di Connie e, naturalmente, una partita a burraco, la lazzaronite acuta cala e
il nostro ferragosto alternativo diventa più attivo: un giro in pedalò fino a Mezzolago, un pesce d’asporto e via,
sempre tra di noi, una light dinner.
Si parte. La Regina del burraco e Pedrazzini si offrono di
pedalare. L’avvocato mio marito fa la
traversata a nuoto. Io placco Connie per tutto il tragitto. Scalmanata com’è
è un attimo che finisca nel lago. Che proprio caldissimo non è. Da qualcuno avrà pur preso.
Tutto bene, l’avvocato
mio marito arriva tra gli applausi che fioccano dalle finestre dell’albergo
Mezzolago con l’ovazione dei turisti che hanno seguito l’impresa olimpica nuoto libero pontile di Pur-Mezzolago. Che
poi saranno si e no 500 metri. Connie è rimasta abbastanza ferma e quindi io
non sono sudatissima. La gamba ciclistica dei ragazzi ha retto. Scendiamo sul pontile di attracco e andiamo
a ordinare il pesce. Di lago. Slurp.
La trota salmonata
affumicata arriva subito. La sistemiamo in un vano del pedalò e siamo pronti
a ripartire. Vorrei tanto uno spritz,
così, giusto per gradire, ma l’ovazione riservata poco prima all’avvocato mio
marito risveglia in me quello spirito di
competizione da tempo sopito. Insieme all’egocentrismo e all’abitudine a
stare sotto i riflettori. Devo fare la
traversata a nuoto. Tolgo t-shirt e pantaloncini e mi tuffo. Si sente un “ooooooohhhhhh”.
Ho un brivido. Più per l’eccitazione
che per il contatto con l’acqua freddissima. Mi stanno guardando tutti. Inforco gli occhialini e parto a bomba.
Se mi viene un crampo ho il pedalò di fianco, sono serena.
Inizio a macinare
bracciate. Guardo indietro. Sono sempre tutti lì a guardarmi. L’acqua del lago però è pesante, io sono
fuori forma e non riesco a spezzare il fiato. Proseguo, forte di tutta l’aspettativa
sulla mia traversata. Mi fermo un attimo, prendo fiato. I polmoni cominciano a bruciare forte, il ginocchio malandato pulsa, le
braccia iniziano a cedere, sono paonazza. Rallento il ritmo ma proseguo.
Dal pedalò gesticolano, alzo il pollice
in segno di “va tutto bene”, bevo, annaspando, senza che se ne accorgano. E meno male che l’acqua è pulita, quasi da
bere. In realtà gesticolano per farmi
salire, devono aver avvistato in lontananza qualcosa o qualcuno sul nostro
pontile. Grata di avere il pretesto salgo, stralunata, sul pedalò. Mi lamento
per essere stata interrotta, mancava davvero poco. Ma in realtà sono sfinita,
mi gira la testa e faccio fatica a respirare. Mi stendo, fingendo di essere contrariata. E non mi giro più, ho
deluso il mio pubblico nutrito, quattro ottantenni inglesi o tedeschi in
vacanza relax sul lago.
L’avvocato mio marito
sta facendo il grosso perché da lontano ha visto qualcuno che sta tirando sassi
dal nostro pontile. Sembrano ragazzini.
“Adesso vado lì e
gliene dico quattro, vandali”, “E’ ora di finirla”, “Qualcuno deve dare una
regolata a questi ragazzetti maleducati”.
Sale l’adrenalina. L’avvocato
mio marito di solito è uno quieto. La tamarra, in famiglia, sono io. Siamo
tutti in attesa della sfuriata epocale. Il natante si avvicina al pontile a
grandi pedalate e le figure si fanno sempre più nitide. Sono un uomo e un ragazzino. Sono scesi dal sentiero per il pontile con due mountain
bike.
L’avvocato mio marito
cambia espressione, il monociglio si ammorbidisce, la mascella è meno
serrata. Osserviamo, attenti. Perfino Connie è zitta. Un evento unico. I prodi pedalatori prendono la via di casa e
iniziano a salire dal sentiero con il piatto di trota salmonata. Io chiudo la
fila con Connie. L’avvocato è lì, titubante, siamo tutti in attesa.
“Hi”, saluta,
cordiale.
“Where are you from?”.
Sono padre e figlio,
il padre sulla cinquantina, il figlio appena adolescente. Sono tedeschi di
Stoccarda, hanno lasciato la macchina a Innsbruck e da lì hanno proseguito in
bici. La conversazione prosegue e poi, avendo già capito che piega avrebbe
preso il tutto sento:
“Is your platform? Can we sleep here tonight?”
Ovviamente so già la risposta.
“I have a flat and something to eat. It’s
free”.
Sto già pensando a
come porzionare la trota salmonata. E se ho dell’aglio e degli spaghetti d’emergenza.
Il ragazzino avrà più o meno 15 anni, sarà affamato. E poi hanno fatto
chissà quanti chilometri in bici. E poi
penso in quale diavolo di armadio ho delle lenzuola di scorta. E gli
asciugamani?
La pasta aglio, olio e peperoncino è in tavola tre quarti d’ora dopo. Loro arrivano, freschi di doccia,
si chiamano Dominic e Thomas.
Dominic è il ragazzino. Mia figlia si prende una cotta per lui, ha 14 anni.
Andiamo bene. Se questo è l’andazzo
auguri. Da qualcuno avrà pur preso. Porco schifo. Apriamo pure l’amarone, bottiglia magnum. Dopotutto è ferragosto
no? E’ il giusto contrappasso per aver voluto fare gli alternativi.
La serata è
piacevole, mangiamo quello che c’è, beviamo il mio vino rosso preferito,
parliamo inglese. Mia figlia lecca Dominic sul braccio ma fa niente, suvvia, l’amarone
ha 14 gradi. Jessica e io rigoverniamo, giochiamo a burraco e andiamo a letto. Non riesco a prendere sonno. Non è il
caldo, non è la leccata malandrina di una bambina di due anni a un adolescente,
non è nemmeno l’aglio. E’ il pensiero
che l’8 dicembre mi troverò in casa tutti i senzatetto dell’opera di San
Francesco. Cin Cin.