Ebbene si. Lo ammetto. Sono
la regina della gaffe. Medaglia d’oro olimpica. Un imbarazzante primato,
uno sport in cui non ho rivali. Vinco sempre a mani basse. La natura non mi ha
dotato di filtri e il percorso
cervello-corde vocali è fulmineo e senza ostacoli. Una strada spianata e
priva di curve, anse, promontori, burroni e corsi d’acqua. Un’orografia perfettamente
pianeggiante.
La più grande verità, che
ha decretato la mia vittoria assoluta elevandomi di diritto nell’olimpo delle
gaffes l’ha pronunciata mio suocero in tempi non sospetti, quando il mio
attuale marito - che mi ha sposata a 43 anni - arrivava in Val di Ledro, natio borgo selvaggio, con vagonate di
modelle brasiliane al seguito. Uno stuolo di ex fidanzate che se avesse
deciso di invitare tutte al suo addio al celibato non gli sarebbe bastato San Siro. Confuso da tanta beltade
sudamericana, inframmezzata da qualche comparsa dell’est Europa, il papà di mio
marito ha pronunciato la sentenza: “ci hai presentato interi pullman di ragazze
da tutto il mondo ma non ti sei ancora sistemato. Vedrai che alla fine sposerai
una cretina”. Un profeta.
Negli anni mi sono sottoposta ad un training estenuante per riuscire a scendere dal podio. Niente da
fare. Rimango la campionessa assoluta, non c’è verso. Forse ho un po’
migliorato la modalità d’espressione della gaffe. Ma sono sempre la regina. Ho rischiato di rovinare amicizie,
relazioni, incontri. Mi sono giocata posizioni professionali importanti. E’
una pesante croce da portare. Non c’è rimedio. Non riesco proprio a costruire
quel filtro. Rimane lì, come una diga aperta, nei pressi dell’epiglottide. Si vede che la mia plica cartilaginea ha un
difetto congenito.
Il difetto congenito è certamente una trasmissione del
patrimonio genetico. Perché mia sorella
Cecilia, la seconda della tribù Maggioni, è anche la seconda sul podio.
Medaglia d’argento. Le sue colossali figure di merda, se possibile, sono state
meno gravi delle mie ma numericamente superiori. Solo che il comitato olimpico
misura il gradiente di gravità. E quindi vinco io.
La sua carriera da gaffeur è iniziata quando era molto
piccola, nella prima età scolare. Avrà avuto più o meno 6 anni quando è saltata in spalla, in mezzo alla strada,
ad un signore alto e distinto che sembrava il papà. Ma non era il papà. Ha
proseguito, un po’ più grandicella,
entrando in una Fiat Punto blu che sembrava proprio quella del papà, al posto
di guida, fuori dalla scuola. Ma non era quella del papà. I casi sono due:
o il nostro papà ha una fisionomia molto comune e somiglia sempre a qualcun
altro o mia sorella Cecilia è irrimediabilmente
recidiva.
Il fatto è che neanche lei migliora. Ormai è moglie e madre.
Eppure, proprio ieri, il suo status di
facebook recitava: “Ceciliaimparaatacerececiliaimparaatacerececiliaimparaatacere”.
Ne ha combinata un’altra. La chiamo, con il cuore in gola. Forse finalmente potrebbe scalzarmi dal podio. L’ha combinata al
lavoro. Porca paletta. Il problema è che non posso darle consigli da sorella
maggiore. Perché sono e rimango la regina.
C’è stata solo una
volta in cui Cecilia ha rischiato di togliermi dal collo la medaglia di oro
zecchino. Puro come quello contenuto nel deposito di Paperon De Paperoni.
Antico come quello raccolto nel Klondike. A prova di Bassotto. Ma Paperone aveva la numero uno. A me l’ha
fregata Amelia, non avevo abbastanza aglio. E la medaglia d’oro zecchino
del Klondike è ancora saldamente al mio collo.
Succede che Cecilia, che ha appena aperto la Partita Iva, si debba recare dal suo commercialista per
compilare qualche scartoffia. Un commercialista che non ha trovato sulle pagine
gialle o per passaparola, è un amico di famiglia. Lei piace a lui, in modo discreto
ma evidente. Lui piace a lei, è lusingata dalle sue attenzioni, si sono
studiati nelle settimane passate, ma la cosa non decolla, lei si è lasciata da
poco con il fidanzato storico ed è irrimediabilmente innamorata di lui. C’è stato un flirt, virtuale, fatto di
scambi di sms, due o tre mail, qualche allusione sospesa.
Sono uno davanti all’altra, nello studio, parlano di tasse,
iscrizioni all’ordine, burocrazia. Roba noiosa. Squilla il cellulare e il commercialista si scusa, prende il telefono
e esce dalla stanza per rispondere. Lei si guarda in giro, sbadiglia. Lui
non torna. Lei tira fuori dalla borsa il suo telefono e manda un sms alla sua
amica Francesca Cois: “Francy, sono dal commercialista, ha su un
maglione assurdo, ma come cacchio faceva a piacermi questo?”. Preme il
tasto invio. E si accorge immediatamente
di averlo inviato a lui. Porca miseria. Suda freddo, ispeziona la stanza per trovare la via di fuga. La
finestra è troppo piccola. E poi lo studio è al quarto piano. C’è un
telefono cellulare sulla scrivania. Magari c’è una via d’uscita, magari ha due
telefoni, uno personale e uno di lavoro e il messaggio incriminato è nel
telefono sulla scrivania. Si avvicina alla porta e si mette in ascolto. Sta
ancora parlando, bene. Prende cautamente
il telefono sulla scrivania. Forse riesce a cancellare il messaggio. Sente
una voce alle spalle: “ma che cos’ha di male questo maglione?”.
E’ la fine. Una vampata di calore sale dalle viscere, la faccia brucia
rubiconda. Abbassa gli occhi e risponde: “ti fa le spalle piccole” e lui: “ho le
spalle piccole” e lei: “APPUNTO”. Si rende conto che va di
male in peggio e aggiunge: “che figura di merda….ehm…scusami…non so
cosa dire…mi vergogno a uscire, la segretaria potrebbe aver sentito tutto….”
E lui, glaciale: “dovresti vergognarti a stare qui”.
Bene. La cosa drammatica
di tutto ciò è che, visto che continuo a detenere il primato, ho fatto di
peggio. Qualcosa che mi demolirebbe definitivamente se lo raccontassi in un
blog. Sono irraggiungibile. Quello che ci salva sempre, a noi con la plica
cartilaginea dell’epiglottide difettosa, è
la totale buonafede unita alla involontarietà. Assolte. Ma quel profeta di mio suocero aveva
ragione.