Riserva. Quella che
quando si giocava seriamente a pallavolo stava in panca. Quella che faceva
riscaldamento e poi si infilava la felpa
della tuta fino alla fine della partita. Se tutto andava bene. Pronta ad
essere chiamata per entrare in battuta, all’ultimo momento, con due sbracciate
al volo per scaldare la spalla. E poi via la felpa, sui tre metri per il
cambio, fischio dell’arbitro e battuta
in mezzo alla rete. Se non addirittura sotto. Con lo spauracchio di dover
portare le paaaaste il lunedì successivo. E tutti quelli che hanno giocato
sanno benissimo a cosa mi riferisco. Paaaaasteeee.
Storia antica.
Purtroppo. Ora lo spauracchio non è più rappresentato da una battuta sotto la
rete. Che poi, fortunatamente di panca ne ho fatta davvero poca. Anche se, c’è
da dirlo, ho finito la mia “carriera”
proprio in panca, anzi, secondo libero in panchina. Deprimente.
Adesso la mia parallela carriera di madre mi ha imposto di trovare
una tata da mettere in panchina. Non vi illudete, amiche mamme, Ju Ju
rimane saldamente al suo posto titolare. Solo che Ju Ju per il week-end va
prenotata con qualche settimana di anticipo. Così è nata l’esigenza di una tata di riserva per il sabato sera/domenica
pomeriggio quando tutto il mondo organizza qualcosa e ci invita e noi
diciamo sempre no.
Sul web c’è una geniale piattaforma per genitori e baby
sitter che ti permette, con iscrizione gratuita, di trovare persone disponibili nella tua zona, sia full time che per poche
ore. Appena inserisco user, password e il mio annuncio iniziano a fioccare
richieste. Leggo, valuto, prendo in considerazione e inizio a contattare ragazze che corrispondono alle mie esigenze. L’identikit
ideale è una giovane studentessa, ventenne o poco più, che abbia tempo libero nel fine settimana e voglia di
guadagnare qualche soldino. Lo abbiamo fatto tutte. O no?
Fisso i colloqui con un programma serratissimo: 18.30, 19 il
primo giorno. 18, 18.30, 19, il secondo giorno. Arriva la prima, studentessa, 20 anni. Entra in casa e mi dà del tu. Lusinghiero, per carità. Ma a vent’anni non è accettabile dare del
tu di default alla mamma della bimba a cui dovrai badare. Quale bimba? Tra
l’altro. Costanza non viene degnata di
uno sguardo. E vi risparmio il livello dei contenuti del colloquio. A parte
la risposta “lhocambiatounavoltaamiocugino” alla domanda “saicambiareunpannolino”.
Arriva la seconda, anzi, non arriva. Alle 15.18 mi manda un sms
chiedendo di poter arrivare 20 minuti in ritardo sull’orario stabilito.
Accordato. Ma non arriva. 15 minuti dopo l’orario previsto ecco un altro sms:
“Sono in macchina, sto
arrivando…la mia vicina di casa si è sentita male nel pomeriggio e ho aspettato
con lei che i figli arrivassero da Torino…ora il compagno di sua figlia mi sta
accompagnando in auto, 5 minuti e sono da voi…mi dispiace tantissimo per il
ritardo”
Naturalmente i 5
minuti sono 20. Cerco di liquidarla, ma mi dice di essere sotto casa. La
faccio salire, abbiamo avuto tutti vent’anni. Entra in casa, tutta trafelata, naturalmente mi dà del tu e non guarda neppure
la bambina. Parla di sé a macchinetta senza prendere fiato, precisa che lei
non è disponibile a Natale, Pasqua e feste comandate e se ne va. Anche Ju Ju è
perplessa. Ma non dice nulla. Mentre Connie continua a ripetere in loop il nome
delle due aspiranti tate. Siamo a cavallo.
Il giorno dopo è
quello decisivo. Tre appuntamenti. Sono fiduciosa. La ragazza delle 18 non
si presenta. Venti minuti dopo la chiamo, non risponde. Mi risponde con un sms
qualche minuto più tardi:
“Buonasera signora
Alessandra mi scuso immensamente ma avevo segnato nella mia agenda il prossimo
mercoledì e in più mi è impossibile raggiungerla ora perché sono ammalata. Mi
scusi ancora, so che per un colloquio è ingiustificabile sbagliare giorno. Se
vorrà ancora incontrarmi, considerata la febbre, sarebbe meglio la prossima
settimana, scusi ancora.”
Sono allibita. Almeno questa mi ha chiamata signora
Alessandra. Ma sono allibita.
La ragazza delle 18.30 già parte male perché un’ora prima,
sempre tramite sms, mi aveva chiesto di
poter portare un’amica. Allucinante. Qualche minuto prima dell’orario
stabilito mi arriva, naturalmente, un altro sms:
“Salve, io sono in
piazza della repubblica, sto cercando civico 8”
Mi parte una risata
isterica. Ju Ju e Connie mi guardano, preoccupate. La signorina ha sbagliato piazza. Prendo il telefono e chiamo
dicendole di lasciar perdere. Insiste. Ma le spiego gentilmente che alle 19 ho
un altro colloquio.
L’aspettativa sulla
ragazza delle 19 è altissima. Arriva, puntualissima. Entra, mi dà del lei, si toglie le scarpe e fa due moine alla bambina.
Ci siamo. Però ha trent’anni. E un po’ di mestiere. Mi mette addirittura il CV sul tavolo prima di accomodarsi. Ha
fatto il liceo classico ed è laureata in comunicazione ma non trova lavoro nel
suo campo e quindi cerca come baby sitter. Mi fa tenerezza e vorrei fortemente
credere di averla trovata. Ma so che non è lei, la tata in panchina, e anche
mio marito, presente al colloquio la boccia prima di emettere la sentenza con
la sua voce fuori campo: “cerca una
ragazza straniera che abbia davvero bisogno di lavorare”.
E’ illuminante.
Stupida io a non pensarci prima. Scandaglio
il sito alla ricerca di ragazze di colore. Sono le mie preferite. L’occhio
mi cade subito su di lei, Candide,
nerissima e con un sorriso dolcissimo. La convoco per il giorno dopo e lei
viene subito. E’ amore a prima vista.
Tutta un’altra cosa.
Ora, il tema è questo. Ricordando i miei vent’anni tra
pallavolo, università, lavori di ogni tipo, dalla commessa al mercato alla
barista, dalla gavetta come giornalista alla gestione di un negozio di maglie
da calcio d’epoca, che problema hanno le
giovani studentesse italiane del 2016? E’ un fatto generazionale o un fatto
educativo?
Perdonate lo sfogo, affezionati lettori, vi prometto di
scrivere più spesso e con la solita sollevante ironia.
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