Per finire il pane. La mia povera nonna, pace all’anima sua, quando a fine pasto le si offriva ancora qualcosa da mangiare, non rifiutava mai e rispondeva così: “ma si grazie, giusto per finire il pane”. Poteva essere qualsiasi cosa, un mestolo di minestrone, una manciata di cavolini di Bruxelles, una fetta di arrosto o una cucchiaiata di crema al mascarpone. E lei, finiva il pane. La mia nonna non c’è più ma noi, in famiglia, abbiamo mantenuto la tradizione, finire il pane alla fiera del porco.
La fiera del porco non
è una sagra di paese in cui si serve maiale in tutte le salse. E non è
neppure una rievocazione dei mercati medievali
che raccoglievano contadini e allevatori da tutti i borghi circostanti e
carovane di mercanti che provenivano da paesi lontani per vendere le loro merci. La fiera del porco è un normalissimo
convito maggioniano.
Le feste comandate,
in casa Maggioni, sono sempre state affollate. Di cibo e di congiunti che non mangiavano per settimane in vista
dell’evento. A Natale e a Pasqua,
per esempio, ci si svegliava all’alba per spalmare
tartine, sfogliare verdure, impastare ravioli e allestire un sontuoso banchetto.
Quando tutto era pronto, ospiti compresi, la fiera del porco aveva inizio. Un trionfo di leccornie servite in
tavola. Ghiottonerie per tutti i gusti. Invitanti vettovaglie. Decine e decine
di portate.
Le feste comandate,
in casa Maggioni, sono sempre più
affollate. Di cibo e di congiunti. Di sangue e acquisiti. Per matrimonio, la mia già grande famiglia si è allargata a
dismisura. Noi siamo quattro sorelle, più mamma e papà, più nipote, più un
cognato. Mio marito ha tre sorelle e un fratello. E tra cognati, cognate, nipoti,
genitori e nonno, la tavola imbandita conta una trentina di coperti. C’è una regola che mi salva da un polacchiamento epocale: ognuno prepara
qualcosa. Ma quel qualcosa, aggiunto agli altri qualcosa, eleva la fiera del porco ad un evento a
rischio indigestione.
Bene. Reduce dalla
recentissima fiera del porco pasquale, sono tornata a Milano con un cadeau.
Mangereccio, ovviamente. Mia
suocera, che la sa lunga in fatto di pantagruelici banchetti, mi ha messo in
borsa un tupperware. Non contiene avanzi, quelli ce li siamo finiti a
Pasquetta. C’è del tarassaco bollito.
Quella pianta, dal fiore giallo e dal sapore amarognolo che ha proprietà terapeutiche e depurative.
Soprattutto depurative. Per preparare il
fegato alla prossima fiera del porco. E per finire il pane.
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