martedì 19 febbraio 2013

L’età delle illusioni


La mia terza notte maldiviana è stata stomachevole. Ho vomitato 14 volte, le ho contate. Dopo due giorni di assestamento sull’isola da cartolina, il corpo unto dalla crema solare protezione 50, i banchetti dietetici conditi da pesce appena pescato e verdura, mi sono concessa una serata di eccessi. L’ultima volta che ho vomitato così a causa dell’alcol, e non del virus intestinale, avrò avuto si e no 15 anni. Un’indianata in spiaggia a Celle Ligure. Mi hanno dovuto portare a casa di peso, all’epoca ero un fuscellino, e la mattina dopo non ricordavo neppure il mio nome.

La mia terza notte maldiviana sull’isola di Maayafushi mi ha fatto dimenticare non solo il mio nome. Mi ha fatto capire quanto mi manchi la felice età delle illusioni. Si si, proprio quella leopardiana. Non l’ho fatto apposta a bere così tanto. Non me ne sono accorta. Quel giorno sono arrivati in nostri amici David e Angela e dopo cena e tre bicchieri di vino locale, o forse quattro o cinque, mi sono stampata con un cocktail di quelli che chissà che diavolo ci avevano messo dentro.

Da quando ho perso il controllo a quando ho avuto il primo appuntamento con la tazza del cesso credo di avere, in ordine sparso:

·         Vaneggiato alla grande
·         Barcollato
·         Ammiccato anche a donne, anziani e bambini
·         Fatto un inaspettato bagno serale
·         Fatto la pipì almeno 15 volte
·         Fatto un cambio d’abito e di mutande
·         Essermi passata il dito insalivato sugli occhi per rimediare al mascara colato
·         Essermi fatta compatire da mio marito e dai miei amici David e Angela
·         Aver bevuto ancora, non paga, una roba dolciastra tipo batida di cocco
·         Essermi fatta trascinare al bungalow da mio marito, sfinito dai miei vaneggiamenti e vagheggiamenti

La mattina dopo ero una larva. Mio marito è uscito a vedere l’alba, spossato per avermi tenuto  per tutta la notte la testa mentre il mio stomaco si ribellava. Poi, premuroso, è andato a prendermi del pane, mi ha imboccato, mi ha preparato un moment e un plasil. Un angelo.

Non è che io, 38 anni il 13 marzo, non sia felice. O meglio, dando per scontato che la felicità non esista, se non a picchi che durano poco più di un attimo, sto sommariamente bene. C’è solo una cosa che stona e che combatte con quello stato di serena inerzia, la presa di coscienza. La responsabilità. La maturità anagrafica. Il brusco dissiparsi dell’età dell’illusione.

Età dell’illusione. Quando fai le cose senza pensare ma va bene così. Quando tutto scorre senza scossoni. Quando l’unica preoccupazione è tornare a casa in tempo per il coprifuoco se no ti becchi un cazziatone. Quando sembra non esista la forza di gravità e il tuo corpo è leggero. Quando anche la testa è leggera. Quando non hai il senso della paura e affronti la vita impavida. Quando tutto va bene anche se non va bene. Quando sei la reginetta della scuola anche con le ballerine, il maglione sformato e i capelli sciolti al vento. Quando sotto l’anestesia del delirio di onnipotenza credi che il mondo giri intorno a te.

Ecco. A volte vorrei proprio quell’anestesia. Vorrei vivere anestetizzata per non pensare. Per rifugiarmi in un mondo parallelo e alterato dove la tua testa è ancora così leggera. Dove ogni scelta sembra semplice e non esiste il dolore. Non esiste il dolore. Si, se potessi chiedere un desiderio al mago della lampada gli chiederei quella sana anestesia. Una breve letargia per poter spegnere la coscienza per qualche attimo. Così poi sarei rifocillata e di nuovo pronta per gli scossoni. Ma Aladino non esiste. Così come non esiste la felicità.

L’effetto dell’anestetico è finito nelle fognature maldiviane. Ma io, in fondo, sono felice.