mercoledì 13 marzo 2013

Dignitosamente terribile



Di solito sono la regina dell’organizzazione dei week-end nelle città europee. Sono impeccabile: guida, scelta dell’albergo perfetto dopo uno studio incrociato di recensioni, cernita dei ristoranti tipici dove cenare la sera, preparazione accurata sulla storia dei monumenti principali, stampa preliminare della mappa della città e mezzo di trasporto ottimale sia per andare dall’aeroporto all’albergo che per muoversi tra le varie attrazioni. Tutto il viaggio è curato nei minimi dettagli e ben poco è lasciato al caso. E’ quasi palloso andare in giro con me, mi manca solamente una pettorina fosforescente per farmi identificare come guida turistica.

Tutta questa promettente e ridondante autocelebrazione solo per tirarmi su il morale dopo aver toppato clamorosamente la scelta dell’albergo per il viaggio regalo del mio compleanno, destinazione Istanbul. A mia parziale discolpa sta il fatto di aver deciso solo 48 ore prima e di aver avuto veramente una manciata di ore per i preparativi. Ma l’esito non cambia e l’auto flagellazione da Opus Dei è ancora in corso.

Per la location scelgo, scientemente e certosinamente, la zona del Sultanahmet dove ci sono Moschea Blu, Hagia Sofia, Topkapi e il Suk. Così possiamo girare a piedi senza sbatterci con i mezzi. Inizio a valutare gli alberghi. In genere opto per un 4 stelle che non costi un botto, che sia costruito nello stile architettonico della città che voglio visitare, che sia strategico per la posizione e che abbia i principali servizi. Quando viaggio con le mie amiche non ci sono problemi. Ma quando viaggio con mio marito devo stare attenta per non rischiare di averlo sul gobbone per l’intero week-end. E’ uno esigente.

Non ho mai toppato, fino ad ora. Trip Advisor è un amico prezioso e le reviews sono sempre  aderenti al vero. Inizio a guardare i 4 stelle e uno attira la mia attenzione. Lo sottopongo al vaglio dell’uomo del monte che, storcendo un po’ il naso, dice si. Ho come al solito carta bianca. Procedo. Ma al momento del click finale cambio idea e opto per un tre stelle e mezzo, è recensito meglio e le camere sono più grandi. Non posso sbagliare. Fatto.

La sera, a cena, tra i denti confesso biascicando: “ho preso un tre stelle e mezzo”. Mi guarda malissimo e inizia a brontolare. Mi faccio vedere sicura della mia scelta giurandogli che non si pentirà e mi pregusto la scena in cui sarò io a guardarlo con espressione soddisfatta per essere riuscita a spendere poco in una location fantastica.

Arriviamo a Istanbul. Piove e c’è traffico e io mi incaponisco a voler prendere uno shuttle comune invece che un taxi. Vengo accusata di essere una studentessa universitaria in vacanza. Che è un modo carino per darmi della pezzente. Cede, aspettiamo tre quarti d’ora e partiamo alla volta del tre stelle e mezzo con lui che è tranquillo ma ha già messo a bollire la pentola di fagioli.

La reception dell’Hotel è già lo specchio di quello che sarà la stanza. Oh Oh. Inizio a sudare e a spegnere quel pregustato sorriso di soddisfazione che stavo preparando. Cacchio. Ma ho fatto l’upgrading con la superior room vista Bosforo. Non potrà essere proprio un disastro. Varchiamo la soglia. La stanza è piccolina ma ha una bella vista ed è super pulita. Fiuuuuu. Lui non dice nulla. Il letto è un po’ corto, è vero, però sembra comodo. Non c’è l’armadio, merda. Non c’è neanche il bidet e la luce in bagno va a intermittenza. Porco cane.

Invece che essere aggressiva e difendere la mia scelta abbasso gli occhi e inizio ad ammettere di aver sbagliato. E’ la mia fine. La pentola di fagioli ora bolle che è un piacere e ho costantemente la dentiera di mio marito attaccata all’orecchio. Iniziamo a valutare l’opportunità di cambiare albergo. Ma non mi dò per vinta. C’è ancora la notte. E la colazione. Se il succo d’arancia è una spremuta vera sono salva. Per lui è il segno di qualità più importante.

A darmi il colpo di grazia è il Muezzin alle 5 del mattino. E’ vero che ho scelto un Hotel proprio dietro la Moschea Blu ma speravo ci fossero le camere insonorizzate. E’ vero anche che il Muezzin è affascinante e che è un pezzo fondamentale di questo viaggio. Ma è davvero troppo. E poi il succo d’arancia. Altro che spremuta vera. L’uomo del monte appone il sigillo decretando: “Dignitosamente terribile”. Valigie nella hall, si cambia albergo e tutto va bene.

Stamattina mi arriva una mail. Non sono auguri di compleanno. E’ una captatio benevolentiae dell’albergo per farmi mettere 5 stelle e una recensione positiva su Trip Advisor. Ecco perché!!!

mercoledì 6 marzo 2013

La giovane gnocca



Oggi qualcuno, anonimamente, ha commentato il mio ultimo post sull’intelligenza globale con un link che rimanda al sito di Piero Scaruffi, uno scrittore/giornalista/matematico/informatico/critico musicale che ha scritto anche saggi divulgativi sulle scienze cognitive. Che poi magari ha beccato il mio blog mettendo qualche key words in Google ed è stato proprio lui l’anonimo che mi ha lasciato il messaggio. Crediamoci.

Anyway, in buona sostanza, il pezzo cui il link rimanda direttamente è in inglese e recita: “The Cognitive Development of Pretty Girls”. Potendo vantare una conoscenza dell’inglese da Trinity 8 - anche se quest’anno al corso del comune cazzeggio alla grande e faccio i compiti il mercoledì sera, qualche ora prima della lezione, scopiazzando le soluzioni – sono riuscita a capire il senso dell’ articolo che contiene una sorta di vademecum esplicativo di quanto lo sviluppo cognitivo di una giovane gnocca sia totalmente influenzato proprio dal fatto che sia gnocca.

L’autore esordisce sottolineando il fatto che la giovane gnocca, in età adolescenziale, ha più amici maschi che femmine per una ragione principale: entrambi trovano la gnocca poco interessante ma i maschi, rispetto alle femmine, sperano di trombarla.  Quest’attenzione fittizia provoca nella giovane gnocca una distorsione della percezione di sé. Crede di essere fica. E il credere di essere fica quando hai quindici anni e i maschi ti cacano solo perché vogliono trombarti ha un impatto devastante sullo sviluppo cognitivo della giovane gnocca in questione.

Il tutto non c’entra con il QI individuale che può anche essere altissimo e indipendente dal grado di gnocchitudine. Scaruffi spiega che una giovane gnocca viene giudicata dagli altri più per la sua avvenenza che per il suo QI e ciò crea effetti devastanti per il suo sviluppo cognitivo. Questo avviene perché la giovane gnocca non ha bisogno di sbattersi per ottenere qualcosa. Non deve leggere/andare a conferenze/vedere film intellettuali/fare la femminista impegnata/trovare argomenti di conversazione interessanti. L’essere gnocca è il suo biglietto da visita e non deve fare nulla per migliorare sé stessa. Perché per lei è tutto semplice.

In definitiva, la giovane gnocca cresce con un’illusoria e ingiustificata autostima e una fasulla sicurezza di sè che le deriva dalla considerazione che gli uomini hanno sempre avuto di lei. E magari tra i 30 e i 40 anni, quando una mandria di giovani gnocche l’hanno ormai oscurata, inizia a leggere/ andare a conferenze/vedere film intellettuali/fare la femminista impegnata/trovare argomenti di conversazione interessanti per poter dimostrare di essere intelligente.

Geniale. Molte signore gnocche però potrebbero ritenersi offese. Soprattutto quando viene affermato con certezza che lo sviluppo cognitivo di una giovane gnocca potrebbe essere fermo ai 16 anni.

Dopo aver  trovato divertente il tutto e dopo aver risposto al mio anonimo commentatore il sorriso mi si è per un attimo mozzato. Proprio ieri ho postato su Facebook alcune foto di quando avevo 19 anni in pose da super gnocca, con i capelli lunghi, le labbra tumide e anche un po’ di tette. Sono iscritta al social dal 2008 e non lo avevo mai fatto. Di solito posto foto con boccacce e pernacchie. Settimana prossima compio 38 anni. E l’altra sera sono andata a vedere Les Miserables invece che qualche cagata americana. E sul mio comodino c’è Anna Karenina invece che l’ultimo best seller di Sophie Kinsella.  Ommioddio. Oh. Mio. Dio. Che il mio sviluppo cognitivo si sia fermato ai 16 anni e che ora, tra i trenta e i quaranta ma più verso i quaranta io abbia bisogno di sentirmi intelligente?

Rido. Di gusto. Quel genio di Piero Scaruffi mi ha proprio sgamata. Anche se Anna Karenina in realtà l’ho già letto al liceo. Anche se non sono mai stata una giovane gnocca e quelle foto un po’ da vamp sono state fatte da un bravo fotografo. Anche se, per tutti, rimango e rimarrò sempre la Brooke Logan del rhodense

lunedì 4 marzo 2013

Intelligenza globale



Mi sono sempre interrogata - forse perché volevo allenarmi a essere intelligente - sul concetto di intelligenza globale. E’ vero è vero, esistono dei test specifici per misurare il quoziente intellettivo. Quelle robe lì di logica, i disegnini, i conticini, le parole mancanti eccetera eccetera che dimostrano quanto il sillogismo aristoteliano sia stato applicato. Però con intelligenza globale, nella mia personale concezione, non c’è alcun riferimento alla misurazione del Q.I. I miei studi sul tema, negli anni, mi hanno fatta arrivare a una conclusione ben diversa.

Che esistano diversi tipi di intelligenza è risaputo. Qualcuno, credo, ha addirittura catalogato le “intelligenze” numerandole fino a 7. La più nobile è proprio quella che si misura con i disegnini e i conticini, quella che delinea il pensiero deduttivo e la capacità di arrivare senza intoppi alla soluzione. Il problem solving. Ma a me questa spiegazione dei cognitivisti non basta affatto. Nelle mie continue osservazioni sulle persone e sulla natura umana ho capito cose ben diverse.

Si si, faccio outing una volta per tutte. Ogni volta che esco con qualcuno per un aperitivo, una pizza, una serata o un the pomeridiano, osservo, studio e prendo appunti. Da quando lavoro da freelance poi è ancora peggio. Poter gestire il mio tempo mi ha regalato l’opportunità non solo di dedicarmi a tutto ciò che, lavorando dieci ore in ufficio, non si può fare, ma, soprattutto, di poter mettere in pratica la mia mission di studio – freelance -  del genere umano.

Non stupitevi quindi se, dopo questo outing pubblico, vi sarete resi conto che nel corso di quelle ore d’aria parlo pochissimo, non parlo per nulla di me stessa, ascolto, e faccio mille domandine mirate, qua e là. Non c’è malafede, non c’è un vero e proprio disegno preordinato. La ricchezza dello scambio e dello stare insieme è la cosa più importante ed è la molla. E’ che non posso proprio farne a meno, sono nata così, devo, necessariamente, approfondire. E approfondire per me significa parlare poco e ascoltare con attenzione ciò che il mio interlocutore mi sta dicendo. Poi, di default, ho il mio identikit.

Le mie amiche, quelle che mi conoscono bene perché mi sono lasciata conoscere, dicono con sicurezza che ho una capacità innata di capire le persone. Di intuire al volo la personalità di ognuno e di essere in grado di dispormi nella giusta maniera a seconda della persona che ho davanti. Ettecredo. Anni e anni di esercizio. In realtà non è così. Non ho né la presunzione né l’intelligenza né gli strumenti necessari per poter psicanalizzare chi ho di fronte. Ho solamente una gran voglia di capire. Una gran voglia di finire il mio puzzle complicatissimo inserendo il tassello mancante per avere – finalmente - la mia idea di intelligenza globale.

Le conclusioni a cui sono arrivata - seppur modestissime se commisurate al mio modestissimo QI – sono realmente sconvolgenti. C’è sempre qualcosa che distrugge le mie farneticanti idealizzazioni. Qualcosa che smentisce un identikit che credevo archiviato. Qualcosa che smonta il mio percorso di certezze. Ho capito chiaramente che tutte le intelligenze, anche le più brillanti e le più ostentate, hanno un difetto. C’è chi ha una capacità di ragionamento deduttivo che neanche Einstein ma che poi cade nell’arrovellarsi in discorsi totalmente ottusi solo per presa di posizione. C’è chi dimostra di capire al volo i concetti ma subito dopo scivola su un’ istintività indomabile e altre pecche caratteriali che portano a guastare lo splendido risultato cui era giunto. C’è chi ha brillanti intuizioni ma non riesce a comunicarle per un difetto congenito di intelligenza interpersonale. E c’è chi sceglie il low profile celando la vera intelligenza per potersi mettere alla pari di chiunque senza trasudare superiorità ma che poi si smaschera banalmente e nel modo peggiore trattando  quel chiunque come fosse inferiore.

Difficilissimo trovare l’intelligenza globale perfetta. C’è sempre qualcosa che ne limita la portata. Ogni volta però rimango fortemente disillusa. Quando credo di aver finalmente trovato il mio prototipo ideale di intelligenza globale, un attimo dopo vengo smentita. E devo ricominciare la mia ricerca da capo. C’è qualcuno che si avvicina alla definizione del mio personale concetto. Ma sono solo sulle dita di una sola mano. E tutti, più o meno, imperfetti.