lunedì 5 settembre 2016

Ferragosto alternativo



Il 15 di agosto è un po’ come fosse il Capodanno estivo. Un 31 dicembre caldo. Per quelli che vivono in questo emisfero. Anzi no. Forse è un po’ più come fosse l’8 dicembre. Sempre di Madonna trattasi. Senza essere blasfemi. Che poi io, un 8 dicembre di 10 anni fa, mi sono pure sposata. Comunque, facciamo che il 15 di agosto sia l’8 dicembre estivo, quindi, in definitiva, un giorno da festeggiare. Per tradizione di solito si celebra con pranzi che neanche Pantagruele e Gargantua insieme, con gite fuori porta e come “un giorno di ferie”.

Il 15 di agosto del 2016 lo abbiamo festeggiato su, nella verdeggiante e fresca Valle di Ledro. Località Pur. Una bella giornata di sole a incorniciare il lago immacolato e straordinariamente pulito. Quasi da bere. Un risveglio lento, lazzarone, poco propenso al fare. Qualche timida iniziativa, qualche proposta, un pic nic, la solita polenta su al fienile, un barbecue. Dopo esserci riuniti in consiglio decidiamo per il ferragosto alternativo. Un po’ come andare a letto prima della mezzanotte a capodanno. O a stare a casa l’8 dicembre, anche se siccome a Milano il 7 è Sant’ Ambrogio, c’è il ponte.

Un pranzetto frugale, i soliti 5, l’avvocato mio marito, io e Connie più i residenti estivi fissi Sergio Pedrazzini e Jessica, la Regina del Burraco. Nessun altro. Nessuno dei 250 parenti che abbiamo, nessuno dei  4000 amici che abbiamo. Nessuno dei 602 nipoti che abbiamo. Nessuno. Dopo la nanna di Connie e, naturalmente, una partita a burraco, la lazzaronite acuta cala e il nostro ferragosto alternativo diventa più attivo: un giro in pedalò fino a Mezzolago, un pesce d’asporto e via, sempre tra di noi, una light dinner.

Si parte. La Regina del burraco e Pedrazzini si offrono di pedalare. L’avvocato mio marito fa la traversata a nuoto. Io placco Connie per tutto il tragitto. Scalmanata com’è è un attimo che finisca nel lago. Che proprio caldissimo non è. Da qualcuno avrà pur preso.

Tutto bene, l’avvocato mio marito arriva tra gli applausi che fioccano dalle finestre dell’albergo Mezzolago con l’ovazione dei turisti che hanno seguito l’impresa olimpica nuoto libero pontile di Pur-Mezzolago. Che poi saranno si e no 500 metri. Connie è rimasta abbastanza ferma e quindi io non sono sudatissima. La gamba ciclistica dei ragazzi ha retto. Scendiamo sul pontile di attracco e andiamo a ordinare il pesce. Di lago. Slurp.

La trota salmonata affumicata arriva subito. La sistemiamo in un vano del pedalò e siamo pronti a ripartire. Vorrei tanto uno spritz, così, giusto per gradire, ma l’ovazione riservata poco prima all’avvocato mio marito risveglia in me quello spirito di competizione da tempo sopito. Insieme all’egocentrismo e all’abitudine a stare sotto i riflettori. Devo fare la traversata a nuoto. Tolgo t-shirt e pantaloncini e mi tuffo. Si sente un “ooooooohhhhhh”. Ho un brivido. Più per l’eccitazione che per il contatto con l’acqua freddissima. Mi stanno guardando tutti. Inforco gli occhialini e parto a bomba. Se mi viene un crampo ho il pedalò di fianco, sono serena.

Inizio a macinare bracciate. Guardo indietro. Sono sempre tutti lì a guardarmi. L’acqua del lago però è pesante, io sono fuori forma e non riesco a spezzare il fiato. Proseguo, forte di tutta l’aspettativa sulla mia traversata. Mi fermo un attimo, prendo fiato. I polmoni cominciano a bruciare forte, il ginocchio malandato pulsa, le braccia iniziano a cedere, sono paonazza. Rallento il ritmo ma proseguo. Dal pedalò gesticolano, alzo il pollice in segno di “va tutto bene”, bevo, annaspando, senza che se ne accorgano.  E meno male che l’acqua è pulita, quasi da bere. In realtà gesticolano per farmi salire, devono aver avvistato in lontananza qualcosa o qualcuno sul nostro pontile. Grata di avere il pretesto salgo, stralunata, sul pedalò. Mi lamento per essere stata interrotta, mancava davvero poco. Ma in realtà sono sfinita, mi gira la testa e faccio fatica a respirare. Mi stendo, fingendo di essere contrariata. E non mi giro più, ho deluso il mio pubblico nutrito, quattro ottantenni inglesi o tedeschi in vacanza relax sul lago.

L’avvocato mio marito sta facendo il grosso perché da lontano ha visto qualcuno che sta tirando sassi dal nostro pontile. Sembrano ragazzini.
Adesso vado lì e gliene dico quattro, vandali”, “E’ ora di finirla”, “Qualcuno deve dare una regolata a questi ragazzetti maleducati”.
Sale l’adrenalina. L’avvocato mio marito di solito è uno quieto. La tamarra, in famiglia, sono io. Siamo tutti in attesa della sfuriata epocale. Il natante si avvicina al pontile a grandi pedalate e le figure si fanno sempre più nitide. Sono un uomo e un ragazzino. Sono scesi  dal sentiero per il pontile con due mountain bike.

L’avvocato mio marito cambia espressione, il monociglio si ammorbidisce, la mascella è meno serrata. Osserviamo, attenti. Perfino Connie è zitta. Un evento unico.  I prodi pedalatori prendono la via di casa e iniziano a salire dal sentiero con il piatto di trota salmonata. Io chiudo la fila con Connie. L’avvocato è lì, titubante, siamo tutti in attesa.
“Hi”, saluta, cordiale.
Where are you from?”.
Sono padre e figlio, il padre sulla cinquantina, il figlio appena adolescente. Sono tedeschi di Stoccarda, hanno lasciato la macchina a Innsbruck e da lì hanno proseguito in bici. La conversazione prosegue e poi, avendo già capito che piega avrebbe preso il tutto sento:
“Is your platform? Can we sleep here tonight?”
Ovviamente so già la risposta.
“I have a flat and something to eat. It’s free”.
Sto già pensando a come porzionare la trota salmonata. E se ho dell’aglio e degli spaghetti d’emergenza. Il ragazzino avrà più o meno 15 anni, sarà affamato. E poi hanno fatto chissà quanti chilometri in bici. E poi penso in quale diavolo di armadio ho delle lenzuola di scorta. E gli asciugamani?


La pasta aglio, olio e peperoncino è in tavola tre quarti d’ora dopo. Loro arrivano, freschi di doccia, si chiamano Dominic e Thomas. Dominic è il ragazzino. Mia figlia si prende una cotta per lui, ha 14 anni. Andiamo bene. Se questo è l’andazzo auguri. Da qualcuno avrà pur preso. Porco schifo. Apriamo pure l’amarone, bottiglia magnum. Dopotutto è ferragosto no? E’ il giusto contrappasso per aver voluto fare gli alternativi. 

La serata è piacevole, mangiamo quello che c’è, beviamo il mio vino rosso preferito, parliamo inglese. Mia figlia lecca Dominic sul braccio ma fa niente, suvvia, l’amarone ha 14 gradi. Jessica e io rigoverniamo, giochiamo a burraco e andiamo a letto. Non riesco a prendere sonno. Non è il caldo, non è la leccata malandrina di una bambina di due anni a un adolescente, non è nemmeno l’aglio. E’ il pensiero che l’8 dicembre mi troverò in casa tutti i senzatetto dell’opera di San Francesco. Cin Cin.

sabato 3 settembre 2016

Burraco Mania



“Ho più pinelle che pensieri”, recita un post, di mia sorella Paola, detta Piol, sulla mia pagina di facebook. Mia mamma – il genio – e io, tornate dalla lunga permanenza estiva nel sud della Sardegna, l’abbiamo iniziata al Burraco. La vera droga del secolo. In confronto la cocaina è zucchero. Di canna.

La spacciatrice numero uno è mia suocera. Una maestra. Di burraco e delle elementari. Qualche anno fa ci aveva già provato a insegnarmi il burraco. Ma il terreno non era fertile e il virgulto non ha attecchito. La piantagione della vera droga del secolo è quindi rimasta incolta e allo stato brado e la maestra, mia suocera, poteva disporre della sua sola dose. Ad uso personale.

Nella lunga permanenza estiva nel Sud della Sardegna il virgulto ha iniziato a fiorire. Il potere della droga si è diffuso rapidamente iniziando a mietere le sue vittime. Mia madre, la tata Ju Ju, mia cognata. Io ho resistito, per quanto possibile. Leggevo e poi mi ritiravo nelle mie stanze, guardando con sdegno quelle povere derelitte affette da una dipendenza incontrollabile. Giocavano fino a notte inoltrata, senza sosta, con gli occhi iniettati di sangue.

E poi è arrivato il giorno della mia iniziazione. Avevo finito i libri, mi sentivo sola, un po’ di debolezza e ho ceduto alla prima sniffata di burraco. Inebriante. Il pozzetto da 18 carte era un surplus di droga davvero invitante. Come resistere? Il genio, tata Ju Ju e io. Tre drogate in crisi d’astinenza in attesa di mettere a letto la piccola Connie per poter placare il nostro disagio. In cerca di qualsiasi scusa – vento, brutto tempo, premio, supercazzola – per piazzare Connie davanti a un film Disney e giocare a Burraco. Una malattia.

E poi è arrivato il giorno della partenza. Alla spicciolata. Prima il genio. Poi io. Subito dopo la tata Ju Ju. Nella settimana milanese di sosta, tra il sud del Sardegna e la Valle di Ledro, abbiamo giocato come forsennate. Mia mamma e io rinunciavamo alle consuete attività quotidiane nella pausa sonno di Connie. Ju Ju rinunciava alla sua, di pausa sonno. Nel frattempo abbiamo iniettato la prima dose a mia sorella Paola, detta Piol. E creato un mostro. Ma poi il mostro è partito per il suo viaggio on the road direzione eolie, e noi ci siamo perse una ricca consumatrice. Urgeva trovare altri adepti. Subito. Anche perché se giochi in due non c’è il pozzetto da 18.

E poi è arrivata lei, la Regina del Burraco.
Jessica Vanelli
36 anni
Riccia
Bionda
Fidanzata di Sergio Pedrazzini
Residenza estiva: Pur, Valle di ledro, residence panorama

Il trio del Burraco si era finalmente ricomposto. Il pozzetto da 18 era salvo, insieme agli spritz carichi e immacolati. Un minuto esatto dopo aver messo a letto Connie partiva la bisca. E il pozzetto da 18 era quasi sempre suo, JessicaVanelli36anniricciabiodafidanzatadisergiopedrazziniresidenzaestivapurvaldiledroresidencepanorama

E poi è arrivato di nuovo il momento del distacco. Il genio è partito con il pozzetto da 18. Abbiamo ricominciato a giocare in due, senza sosta, fino all’arrivo, per l’ultimo week-end di agosto, di mia sorella Paola, detta Piol. E sono aumentati gli spritz, carichi e immacolati, e, naturalmente, il pozzetto da 18.

E poi, l’’estate sta finendo, e un anno se ne va. La stagione del Burraco volge al termine. Io sono a disintossicarmi al Forte, c’è il matrimonio di una mia amica. E’ l’occasione per distrarsi. Bevo uno spritz, per non soffrire troppo. E per non perdere l’abitudine. Vedo un mazzo di carte languido, adagiato su un comodino. Una morsa allo stomaco. Passo oltre.

E poi arriva una foto su whattsapp. Il genio e mia sorella Paola, detta Piol, stanno andando a Stoccolma per il week-end a raggiungere mia sorella Sara, detta Scrunch, lì per lavoro. Sono in aereo e stanno giocando a burraco. Hanno comprato le carte in aeroporto. 

Mi viene una crisi isterica, ho la bava alla bocca e un travaso di bile per l’invidia. Scrivo a JessicaVanelli36anniricciabiodafidanzatadisergiopedrazziniresidenzaestivapurvaldiledroresidencepanorama, devo condividere il dolore. E lei, empatica, con gli stessi crampi di astinenza, allevia la mia pena.

L’unica consolazione è che le mie parenti, che in questo momento sono allo spaccio di ACNE, mi portino qualcosa. Ecco. Porca Pinella. Che la stagione del burraco non abbia fine.