lunedì 21 maggio 2012

Damigelle. E testimoni.


Il matrimonio della propria sorella è un avvenimento che richiede ben più di una review scritta. Un po’ come l’album delle foto. Ci vorrebbe un album di reviews. Con la carta velina dopo ogni pagina. Nel post-sbornia da “wedding day”, reale e metaforica, nella mia mente annebbiata da alcol e emozioni iniziano a dipanarsi i fatti salienti e le immagini prendono forma. E il primo fatto da raccontare, perché è quello più nitido nella mia testa, è il delirio assoluto che regnava nella tenuta Maggioni, poche ore prima del si.

Tre sorelle più due testimoni. La notte prima del grande giorno dormiamo tutte insieme in mansarda. C’è anche Carolina, la damigellina porta fedi, che la sposa ha avuto nel peccato, due anni prima di maritarsi con il suo papà. Carolina, detta Pipinus, è super eccitata, fa i capricci da stanchezza infinita e tiene tutti svegli. Comincia ad albeggiare. Ci siamo. E’ il momento dei preparativi.

Come da tradizione le tre sorelle si vestiranno tutte uguali. Al mio matrimonio era stato così, tre bellissime damigelle di bianco vestite. L’abito è stato scelto qualche mese fa, a Londra, in un negozio low cost. Sara e io ci siamo caricate sulle spalle la responsabilità. “Tanto siamo fighe, qualsiasi cosa ci mettiamo andrà bene, e poi al massimo lo impreziosiamo con qualche accessorio chic”. Detto fatto. Tre abitini verde acqua da 15 pounds cadauno. Veramente cheap, ma chissenefrega, tanto siamo fighe. Non lo proviamo, c’è troppa coda ai camerini. Tiriamo su tre taglie compatibili e via, un pensiero in meno. La cosa grave è che quell’abito verde acqua in pizzo da 15 pounds cadauno non lo abbiamo mai provato. O forse si, ma senza l’ufficialità dell’outfit completo. Tanto siamo fighe.  

Ok ok, niente panico. Sono le 11.45. Dopo essermi smazzata Pipinus per due ore giocando a birilli e raccontando Biancaneve, Cenerentola, la Sirenetta e Pollicino mentre genitores accoglievano fioristi e gente varia e le altre sorelle cucivano il coprispalle nuziale e stampavano mappe per i parcheggi  con la sposa al trucco e parrucco, finalmente riesco a buttarmi in doccia e provare, per la prima volta, il mio abito da damigella. Sono serena, c’è margine.

Oh. Mio. Dio. Non posso credere a quello che lo specchio a figura intera mi rimanda. Oh. Mio. Dio. Mia sorella mi ha dato il compito di salire sull’altare a leggere la prima lettura, dal Cantico dei Cantici. Oh. Mio. Dio. Sembro una prostituta. E neanche come una di quelle escort del Ruby Gate, magari. Oh. Mio. Dio. Non posso, nel modo più assoluto, andare a leggere la preghiera vestita in quel modo. Sarei radiata immediatamente dalla chiesa e dal Paradiso. E’ mezzogiorno, porca di quella Ruby. Che fare? O ci vestiamo diverse o dobbiamo trovare al volo una soluzione. Oh. Mio. Dio.

Un piano B in effetti esiste. Il meraviglioso abitino di H&M Conscious Collection. Quello bianco e rosa senza spalline con corpetto in sangallo. In un momento di lucidità lo avevo anche valutato come alternativa alla “cheapperia” verde acqua. E ne avevo anche fatto comprare uno a Sara, 19.90 €, al massimo si cambia. Il piano B ora sembra una realtà. Ma c’è un problema, abbiamo un solo abito in quel momento, quello di Sara. Il mio è nell’armadio a casa a Milano ma se dovessi chiamare mio marito, farglielo cercare e portarmelo, andremmo lunghe. E poi ne manca comunque un altro. Niente panico. Tanto siamo fighe.

Si avvicina la testimone, Francesca Cois, serafica e problem solving. Di solito è il mio pet name, problem solving intendo. Ma sono troppo agitata. E’ lei la nuova regina. “Ale” - mi dice “Andiamo da H&M e ne prendiamo altri due”. Il punto vendita più vicino a Rho è il Portello. Mi rimetto i jeans e la maglietta. Sono le 12.35. Il matrimonio è alle 15. C’è margine. Poco ma c’è. Ce la possiamo fare.

Perdonatemi, se racconterò i prossimi attimi deliranti senza  precisione giornalistica. Troppa la furia in corpo per ricordare esattamente la sequenza degli avvenimenti. Usciamo di casa come due indemoniate. Più io che Francesca, in effetti. Mio papà, Enore Giovanni Battista Maggioni, già in ansia di suo, ci vede schizzare fuori di casa e impallidisce. La sposa e la sua truccatrice ci guardano incredule. Tutto a posto. Si parte, direzione Portello. Ovviamente il navigatore non funziona. Tiriamo fuori l’Iphone. Ci concentriamo. Io guido e Francy naviga. In qualche modo si fa. Un proiettile grigio chiaro in tangenziale. Mi immagino la visuale dal satellite. E rido, mentre impreco all’auto davanti per la lentezza esasperante.

Basta così. Diventerei prolissa nel raccontarvi l’ingresso da H&M, le taglie dei vestiti trovate subito, due paia di ballerine, già che ci siamo, la cassiera che ci vede sudate e con gli occhi impallati e ci chiede se stiamo bene, gli insulti allo stronzo che mi ha parcheggiato appiccicato e mi ha incastrato la smart, la tipa in motorino che stavo per falciare, l’arrivo trionfale nella tenuta Maggioni, la fase trucco-capelli che neanche Usain Bolt. Ce l’abbiamo fatta. Sono salita sull’altare con gli occhi gonfi post ingresso in chiesa della sposa al braccio di Enore Giovanni Battista Maggioni e con Pipinus accanto. Ho la voce un po’ spezzata. Ma ho il mio abito confetto bianco e rosa. Con corpetto di sangallo. Davanti la sposa, bellissima e con uno sguardo che non le avevo mai visto. Di fianco a lei, le altre due damigelle. Con lo stesso abito confetto bianco e rosa con corpetto di sangallo. E con uno sguardo di incoraggiamento. E alla mia destra le testimoni. Una in particolare. Che mi strizza l’occhio. Tanto siamo fighe.



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