sabato 13 aprile 2013

Buoni&Cattivi

Buoni e cattivi


Una volta, ai tempi delle elementari, funzionava che la maestra ci mandava a turno alla lavagna per farci segnare con il gessetto i buoni e i cattivi. C’erano due colonne. E c’era quell’odioso stridere del gesso sullo stato allotropico del carbonio. Grafite.

Non ho mai capito lo scopo pedagogico di dover dividere gli alunni in due categorie così ben definite. Se dovessi pensarci ora, a bocce ferme, attribuirei il fatto ad un escamotage della maestra per tenerci calmi in una pausa caffè. O in una pausa sigaretta. In caso la maestra fosse una fumatrice.

La categorica divisione tra buoni e cattivi è tornata prepotentemente in auge recentemente, durante un viaggio on the road a bordo di una berlina. Succede che ci si trova a chiacchierare con un amico, sui sedili anteriori. Anzi, da sedile anteriore - lato guidatore -  a sedile posteriore. Attraverso lo specchietto retrovisore. Dato l’inquinamento acustico crescente e il rischio “ciocco” per l’impercettibile voltarsi del conducente in order to listen better, l’occupante del sedile anteriore mi ha chiesto un cambio volante. “Così vi parlate tranquillamente e io posso dormire”. Detto fatto.

Il conducente sta passando un periodo di merda. Si può dire? Merda intendo. Io ho appena superato un periodo di merda. Di quella bella densa. Ora ho la testa fuori. Navigo a vista ma almeno respiro. Si sviscerano temi. Gli racconto le mie teorie sull’umanità, gli parlo di macchie di vita, di gabbiani che volano a mezz’aria, di amicizia, di intelligenza globale, di profezie autoavverantesi. Mi ascolta. Poi irrompe nelle mie sproloquianti elucubrazioni con la storia dei buoni e dei cattivi. Fa breccia. Questa mi manca.

Mi dice di aver realizzato, in questo momento doloroso della sua vita, di aver sempre basato e impostato tutto sulla divisione netta tra buoni e cattivi. Senza vie di mezzo. Stiamo parlando a cuore aperto, ormai. Non so bene come ci si è scivolati dentro. Probabilmente è un’empatia da navigazione nella merda densa. Lui è più sensibile, ci sta nuotando. Io sono un po’ più lucida, me la sono appena spazzolata via dalle vie respiratorie.

Esistono i buoni. Che non sono propriamente quelli che non dicono mai nulla, a cui va sempre bene tutto, non litigano mai, non cercano lo scontro, rispondono sempre si. Quelli non sono buoni. Che già il concetto di altruismo è complesso e colmo di sfaccettature. In un gesto altruistico, credo, c’è sempre un fondo di radicato egoismo. L’altruista palesato non fa qualcosa per gli altri. Lo fa per se stesso. Per un riconoscimento sociale. Per colmare un vuoto esistenziale. Per un senso di colpa. Per un senso e basta. Però i buoni, quelli veramente buoni, esistono. Ho visto il loro cuore. E’ pulito, nonostante la sozzura della vita, del mondo. Sono gli altruisti silenziosi. Quelli che fanno qualcosa per qualcun altro senza che quel qualcun altro se ne accorga. Quelli che desiderano il bene degli altri a prescindere dal proprio. Quelli che non sono invidiosi. Quelli che vedono il bicchiere mezzo pieno e che gioiscono delle cose semplici. Quelli che patiscono la fame e gli stenti ma dividono comunque a metà il loro tozzo di pane. Quelli che ascoltano il tuo grido soffocato. Quelli che, a loro volta, leggono il tuo cuore. In braille.

E poi, esistono i cattivi. Che non sono necessariamente gli stronzi, quelli che rispondono sgarbatamente, mettono il muso, ti rimproverano, cercano lo scontro a tutti i costi, rispondono sempre no. Quelli non sono cattivi. Che già il concetto di cattiveria è complesso e colmo di sfaccettature. Ah. I cattivi palesati indossano l’armatura medievale. C’è proprio tutto, elmo, gorgiera, corazza, spallaccio, rotella, manopola, fiancale, cosciale.  Si difendono dalla sozzura. Sono belligeranti per natura, non cattivi. Parano i colpi a suon di scudi. Però i cattivi, quelli veramente cattivi, esistono. E non sono neppure i Bassotti o Gambadilegno. E nemmeno Gargamella, Joker, Jack Torrance di Shining o Hannibal Lecter. Ecco sì, Hitler e Stalin si. Per esempio. Ma quelli più che cattivi erano completamente folli.
I cattivi veri sono i subdoli. I meschini. I malvagi. Gli invidiosi. Gli avidi. Gli oppositori degli eroi. La stessa derivazione etimologica definisce il cattivo.  Captivus diaboli. Prigioniero del diavolo. I cattivi sono quelli che vogliono il tuo male a prescindere dal proprio. Così, gratuitamente. Sono quelli che fanno leva sui tuoi nervi scoperti per annientarti. Quelli che usano le tue debolezze per deriderti. Quelli che approfittano del tuo cuore pulito. Quelli che si servono di te per il proprio interesse. Quelli che ti espongono a pubblico ludibrio per far ridere gli altri. Quelli che ti fanno sentire piccolo per non sentirsi piccoli. Quelli che tradiscono la tua fiducia. E sono puniti nel Cocito dantesco.

« Per ch'io mi volsi, e vidimi davante
e sotto i piedi un lago che per gelo
avea di vetro e non d'acqua sembiante »

Lo rassicuro. Lui per me è tra i buoni. E lo ringrazio. Per avermi permesso di leggere il suo cuore. In braille. Ma con un tum tum così potente da svegliare l’occupante del sedile posteriore.

venerdì 5 aprile 2013

Nostra “Signora” delle scoppole



Avere un marito gobbo bianconero, sei tu sei da sempre milanista rossonera da curva, non è proprio un bell’affare. Lo sfottò rubentino è fastidioso allo stato puro. L’interista è più tollerabile, dopo anni di frustrazione è arrivato il triplete di impronta mourinhana che ha salvato l’altra parte di San Siro dal giorno del giudizio. L’interista merita il purgatorio. Il gobbo rubentino la serie B.

Detto questo, il limite di tollerabilità è stato raggiunto dopo che un signorino che di nome fa Lionel Messi, ha dato il via alla remuntada nello stadio del Camp Nou. Quattro pappine e la Champions vola via. Adios. Con buona pace dei dietrologi che volevano il 2-0 di San Siro come una trovata Berlusconiana pre-elettorale ma che hanno visto le loro teorie infrangersi sul palo di Niang. Che dolore. Il fenomeno Barça passa il turno. Il Milan torna a casa. E i rubentini fanno partire i caroselli che neanche dopo il gol di Fabio Grosso ai mondiali del 2006. Disgusto vero.

Senza stare a disquisire di calcio non avendo una competenza più che appropriata, anche se, per essere una femmina, ne capisco alla grande, avere un marito gobbo bianconero ha anche dei vantaggi. Ti permette di girare il mondo e di gufare da vicino.

La Juve finisce al sorteggio con il Bayern. Si parte per Monaco. Di Baviera. Ollallà. Il giorno dopo Pasquetta con zero gradi e un consistente numero di gufi nel bagagliaio. Evviva. La città bavarese pare essere bellissima. Una piccola Berlino ma meno bombardata e senza muri. Ho già l’acquolina. Scelgo un bell’albergo in centro, bello davvero. Dopo l’esperienza turca non voglio dentiere attaccate all’orecchio e pentole di fagioli sul fornello. Il gruppo vacanze si avvia, siamo in 5, tre gobbi, una milanista e una tiepida interista.

I ragazzi sono tesi. Ci si affoga nella birra e ci si strafoga con il crauto bello aggressivo il wurstel ammiccante e lo stinco di maiale geneticamente modificato. Siamo finiti nel covo. E’ una sinfonia di cori, una lotta impari tra la moltitudine rubentina e i pochi crucchi pro Bayern. Per sedare gli animi arriva la cameriera, una cinquantenne magra e sciupata tutta grintosetta che nel suo abito tipico picchia il pugno su una tavolata urlando con voce gutturale e inquietante: “Bunga Bunga”! Scompaio sotto il tavolo.

La “Vecchia Signora” sta per scendere in campo. Ci siamo. Il trio rubentino parte alla volta dello stadio con tanto di pashmina bianconera – la sciarpa è troppo cheap – e cappellino. Hanno trovato i biglietti in piccionaia ma l’importante è esserci. La tiepida interista e io facciamo le turiste per la città. Zero gradi. Ma Marienplatz è bellissima. Vuoi mettere?

I gufi intorpiditi nel bagagliaio iniziano ad agitarsi. E’ ora di liberarli. Dopo neppure trenta secondi la “Signora” è sotto. Oh cacchio. Inizio a preoccuparmi per le conseguenze. Porco cane. Ma in fondo è giusto. Hanno sfottuto allo sfinimento quando Messi ha segnato il primo gol. E’ giusto. Il Bayern segna ancora. Oh Oh. Due a zero e triplo fischio. Si va a cena.

E’ proprio la cena il pezzo forte della trasferta. Scelgo con cura il ristorante, una taverna bavarese tipica con cucina locale. Le reviews di Trip Advisor sono ottime. Perfetto. Il menù è in inglese, no problem, it’s ok. Ci arrivano i piatti tipici, mappazzoni veri, come direbbe il buon Bruno Barbieri. Chef stellato, mica pizza e fichi. La zuppa di cipolle bavarese contiene un disgustoso canederlo di liver, fegato. La crema di patate è un miscuglio terrificante di wurstel rinsecchiti. Il bollito è uno stracotto freddo con un’improbabile vinaigrette al prezzemolo. Ma il piatto campione è quello che ordina la tiepida interista su suggerimento di noialtri commensali. “Home made pork with potatoes”. “Che vuoi che sia? Stinco, vai tranquilla.” Le arriva un aspic di maiale gelato. Lo guarda disperata. Rimane intatto. Si va a Bretzel e Kartoffeln. Danke. E’ la punizione per il triplete. E’ la punizione per essere rubentini. E’ la punizione per quel palo di Niang. Ma la “Signora” può ancora farcela. I gufi sono carichi.