sabato 29 settembre 2012

La regina della gaffe



Ebbene si. Lo ammetto. Sono la regina della gaffe. Medaglia d’oro olimpica. Un imbarazzante primato, uno sport in cui non ho rivali. Vinco sempre a mani basse. La natura non mi ha dotato di filtri e il percorso cervello-corde vocali è fulmineo e senza ostacoli. Una strada spianata e priva di curve, anse, promontori, burroni e corsi d’acqua. Un’orografia perfettamente pianeggiante.

La più grande verità, che ha decretato la mia vittoria assoluta elevandomi di diritto nell’olimpo delle gaffes l’ha pronunciata mio suocero in tempi non sospetti, quando il mio attuale marito - che mi ha sposata a 43 anni - arrivava in Val di Ledro, natio borgo selvaggio, con vagonate di modelle brasiliane al seguito. Uno stuolo di ex fidanzate che se avesse deciso di invitare tutte al suo addio al celibato non gli sarebbe bastato San Siro. Confuso da tanta beltade sudamericana, inframmezzata da qualche comparsa dell’est Europa, il papà di mio marito ha pronunciato la sentenza: “ci hai presentato interi pullman di ragazze da tutto il mondo ma non ti sei ancora sistemato. Vedrai che alla fine sposerai una cretina”. Un profeta.

Negli anni mi sono sottoposta ad un training estenuante per riuscire a scendere dal podio. Niente da fare. Rimango la campionessa assoluta, non c’è verso. Forse ho un po’ migliorato la modalità d’espressione della gaffe. Ma sono sempre la regina. Ho rischiato di rovinare amicizie, relazioni, incontri. Mi sono giocata posizioni professionali importanti. E’ una pesante croce da portare. Non c’è rimedio. Non riesco proprio a costruire quel filtro. Rimane lì, come una diga aperta, nei pressi dell’epiglottide. Si vede che la mia plica cartilaginea ha un difetto congenito.

Il difetto congenito è certamente una trasmissione del patrimonio genetico. Perché mia sorella Cecilia, la seconda della tribù Maggioni, è anche la seconda sul podio. Medaglia d’argento. Le sue colossali figure di merda, se possibile, sono state meno gravi delle mie ma numericamente superiori. Solo che il comitato olimpico misura il gradiente di gravità. E quindi vinco io.

La sua carriera da gaffeur è iniziata quando era molto piccola, nella prima età scolare. Avrà avuto più o meno 6 anni quando è saltata in spalla, in mezzo alla strada, ad un signore alto e distinto che sembrava il papà. Ma non era il papà. Ha proseguito, un po’ più grandicella, entrando in una Fiat Punto blu che sembrava proprio quella del papà, al posto di guida, fuori dalla scuola. Ma non era quella del papà. I casi sono due: o il nostro papà ha una fisionomia molto comune e somiglia sempre a qualcun altro o mia sorella Cecilia è irrimediabilmente recidiva.

Il fatto è che neanche lei migliora. Ormai è moglie e madre. Eppure, proprio ieri, il suo status di facebook recitava: “Ceciliaimparaatacerececiliaimparaatacerececiliaimparaatacere”. Ne ha combinata un’altra. La chiamo, con il cuore in gola. Forse finalmente potrebbe scalzarmi dal podio. L’ha combinata al lavoro. Porca paletta. Il problema è che non posso darle consigli da sorella maggiore. Perché sono e rimango la regina.

C’è stata solo una volta in cui Cecilia ha rischiato di togliermi dal collo la medaglia di oro zecchino. Puro come quello contenuto nel deposito di Paperon De Paperoni. Antico come quello raccolto nel Klondike. A prova di Bassotto. Ma Paperone aveva la numero uno. A me l’ha fregata Amelia, non avevo abbastanza aglio. E la medaglia d’oro zecchino del Klondike è ancora saldamente al mio collo.

Succede che Cecilia, che ha appena aperto la Partita Iva, si debba recare dal suo commercialista per compilare qualche scartoffia. Un commercialista che non ha trovato sulle pagine gialle o per passaparola, è un amico di famiglia. Lei piace a lui, in modo discreto ma evidente. Lui piace a lei, è lusingata dalle sue attenzioni, si sono studiati nelle settimane passate, ma la cosa non decolla, lei si è lasciata da poco con il fidanzato storico ed è irrimediabilmente innamorata di lui. C’è stato un flirt, virtuale, fatto di scambi di sms, due o tre mail, qualche allusione sospesa.

Sono uno davanti all’altra, nello studio, parlano di tasse, iscrizioni all’ordine, burocrazia. Roba noiosa. Squilla il cellulare e il commercialista si scusa, prende il telefono e esce dalla stanza per rispondere. Lei si guarda in giro, sbadiglia. Lui non torna. Lei tira fuori dalla borsa il suo telefono e manda un sms alla sua amica Francesca Cois: “Francy, sono dal commercialista, ha su un maglione assurdo, ma come cacchio faceva a piacermi questo?”. Preme il tasto invio. E si accorge immediatamente di averlo inviato a lui. Porca miseria. Suda freddo, ispeziona la stanza per trovare la via di fuga. La finestra è troppo piccola. E poi lo studio è al quarto piano. C’è un telefono cellulare sulla scrivania. Magari c’è una via d’uscita, magari ha due telefoni, uno personale e uno di lavoro e il messaggio incriminato è nel telefono sulla scrivania. Si avvicina alla porta e si mette in ascolto. Sta ancora parlando, bene. Prende cautamente il telefono sulla scrivania. Forse riesce a cancellare il messaggio. Sente una voce alle spalle: “ma che cos’ha di male questo maglione?”. E’ la fine. Una vampata di calore sale dalle viscere, la faccia brucia rubiconda. Abbassa gli occhi e risponde: “ti fa le spalle piccole” e lui: “ho le spalle piccole” e lei: “APPUNTO”. Si rende conto che va di male in peggio e aggiunge: “che figura di merda….ehm…scusami…non so cosa dire…mi vergogno a uscire, la segretaria potrebbe aver sentito tutto….”  E lui, glaciale: “dovresti vergognarti a stare qui”.

Bene. La cosa drammatica di tutto ciò è che, visto che continuo a detenere il primato, ho fatto di peggio. Qualcosa che mi demolirebbe definitivamente se lo raccontassi in un blog. Sono irraggiungibile. Quello che ci salva sempre, a noi con la plica cartilaginea dell’epiglottide difettosa, è la totale buonafede unita alla involontarietà. Assolte. Ma quel profeta di mio suocero aveva ragione.

mercoledì 26 settembre 2012

The importance of being HAIR STYLIST


Andare da un hair stylist di fiducia, per una femmina, è fondamentale come scegliere il dentista o il ginecologo. E’ un fatto puramente concettuale, quando esci dal salone di bellezza devi sentirti rassicurata, fiduciosa, con l’autostima alle stelle e gnocca. Avere una testa decente equivale a sfoggiare un bel sorriso alla Durbans, a sapere che il Pap test è negativo, ad avere la consapevolezza di essere sana.

Avevo un hair stylist di fiducia, Marcello. Il salone era proprio accanto a casa dei miei, comodo. Lui era un vero artista, uno scultore dei capelli, un genio. Mi mettevo letteralmente nelle sue mani lasciando che liberasse il suo tocco creativo. E ogni volta uscivo dal salone fighissima. Tanto da illudermi che tutti mi guardassero perché ero fantastica e non perché avevo la faccia sporca o il baffo trascurato. Mi sono fatta delle gran vasche Milano-Rho solo per andare da lui, Marcello, il genio. Un giorno la brutta notizia, Marcello torna nella sua Napoli. Mi lascia sola. Credo di aver portato il lutto per settimane e di essermi fatta tagliare i capelli almeno 10 volte in un mese prima che partisse. Per fare il pieno e tollerare più a lungo l’astinenza.

E adesso? Nessuno sarà mai come lui. Vado a tentativi. Ho i capelli corti e l’assenza di Marcello è ancora più drammatica. Provo da Tony and Guy. L’hair stylist che ho scelto me li taglia bene ma c’è qualcosa che non mi convince. Non mi sento a mio agio, mi manca Marcello. Ci vado due volte e poi insieme a mia sorella compro un coupon su Groupon. Aiuto. L’esperienza si rivela positiva ma a quel punto decido di far crescere i capelli e per la spuntatina trimestrale basta anche un coiffeur qualunque.

Poi inizia il dramma della brizzolatura incipiente. Sul capello castano scuro gli odiosi fili canuti si vedono di brutto. Devo diventare biondiccia. Piano piano. Devo farlo assolutamente e subito. Il problema è che sono in Valle di Ledro e non sono certa dell’esistenza di un parrucchiere, figuriamoci di un salone come si deve. E invece c’è. Mi butto. Colpi di luce. Il risultato non è male ma l’hair stylist di fiducia in Val di Ledro non è propriamente comodo. Niente panico.

Tre mesi dopo tento la carta del coiffeur sotto casa. Michelle. Mi fa i colpi di sole e mi sfila il taglio. Esco praticamente bionda ma sto abbastanza bene. Dopo altri tre mesi e la brizzolatura in crescita vado a rifare il colore. Esco rossastra con i colpi di sole sotto ancora biondi. Non ci siamo. Rimando a quando tornerò dal mare. E dal mare torno con una chioma leonina e ingestibile. Bisogna tagliare. Non da Michelle.

Mi consulto con le mie amiche ricce, Giulia e Daniela. Mi danno due dritte preziose ma io ho bisogno di trovare la mia identità, il mio salone, il mio nuovo Marcello. Un martedì all’ora di pranzo mi trovo per caso nei dintorni di Piazza Oberdan. E mi viene in mente Winters, quello di Groupon. Butto dentro la testa, leonina, per vedere se c’è posto subito. Daniel mi accoglie con un sorriso e io mi sciolgo i capelli così si rende conto. Ha la compiacenza di rimanere con il sorriso. Non c’è posto subito ma dopo mezz’ora. Ci siamo, è fatta.

Mi siedo. Daniel si consulta con un altro Hair Stylist, Damiano. La mia chioma leonina e brizzolata è sotto i loro occhi esperti. Parlano tra loro e procedono. Daniel si scusa, ha un impegno importante, deve andare e mi lascia nelle mani di Damiano. Lo lascio fare. Cerco di distrarmi, mi bevo un caffettino e giocherello con l’Ipad, guardo i voli per Ibiza, ci sono i closing party questo week-end. In tre ore e mezza, con maestria e abilità, Damiano spazza via la Zazzera Leon e mi crea una testa spettacolare con un taglio asimmetrico, una base biondo scura e gli shatush. Divino. Marcello sarà sempre nel mio cuore. Ma ho finalmente trovato ed eletto il mio nuovo Hair Stylist!

mercoledì 12 settembre 2012

Buen retiro a Maladroxia – isola di Sant’Antioco –


Avevo pochi mesi di vita quando mi è stata diagnosticata la psoriasi. Niente di grave, una malattia psicosomatica cronica, tutto qui. Ho preso coscienza della cosa a 14 anni, in prossimità dell’esame di terza media. Una bella chiazza rosastra e squamosa sulla coscia sinistra. Ha esordito con un puntino fino ad allagarsi a dismisura. Il biglietto da visita dello stress da esame. All’epoca, alla fine della scuola si stava al mare per almeno tre mesi. Da giugno a settembre. E dopo aver girato per tutti gli studi specialisti della provincia milanese, tra dermatologi, psicologi, naturopati e compagnia bella, l’unica cura possibile per la mia chiazza squamosa sempre più larga, l’unica e sola medicina, era passare più tempo possibile al mare. Il sale è decappante. Il sole guarisce la ferita appiattita dal sale del mare. E la mia psoriasi è miracolosamente e completamente guarita.

Il secondo episodio si è manifestato sulla mia pelle a 26 anni. Poco dopo aver conosciuto mio marito. E poi dicono che stare in coppia sia fonte di serenità e equilibrio. Mah. Ora di anni ne ho trentasette. E quel piccolo puntino non è mai andato via e si è allargato fino ad essere un quadrello di dieci centimetri per cinque. E’ fisso. Da undici anni. Non è mai guarito. E’ su entrambe le gambe, appena sotto il ginocchio. Ogni estate lo tengo a bada con il mare e il sole. Ma non mi basta. Torno a Milano ed è sempre peggio.

A luglio mi sono fatta visitare da un luminare. Niente di nuovo. Diagnosi confermata. E anche la cura. Mare. Sono riuscita a partire solo l’11 agosto, direzione sud Sardegna. Beatitudine immediata. Ma due settimane non bastano. Ci vuole almeno un mese. Porca miseria, mi tocca proprio una brutta cura. Il mare. Scelgo il  mio buen retiro nell’isola di Sant’Antioco, località Maladroxia. Mi prendo una stanza in un albergo a 100 metri dal mare. Sono da sola, mio marito, suo malgrado, ha incombenze lavorative a Milano. Io, fortunella, posso lavorare da qui.

Vengo letteralmente adottata dai proprietari dell’albergo, Patrizia e Francesco, deliziosi. Sono qui da sola, senza macchina, con due biciclette e un vero e proprio trasloco di valigie, utensili e oggetti vari, visto che sono in giro da un mese. Mi mettono a disposizione il garage dove ricovero tutta la mia roba. Patrizia mi presta il phon, Francesco mi sistema la sciacquone del bagno, i loro bambini e Lucky, il loro cane, mi sorridono, amabili. E’ come essere a casa. E poi c’è la sorpresa della cucina. Sublime. La signora Rita prepara dei piatti da leccarsi il baffo. E leccarsi il baffo con la brezza marina e la luna piena è da manicomio.

Ha piovuto. Per tutta la domenica. Ma poi è uscito l’arcobaleno. Ho messo le gambe in acqua. La mia pelle sta guarendo. E stare sola non è così male. Io e i miei calamari fritti cucinati da Rita. Il mio Ipad. Patrizia e Francesco. E la luna piena. Tornerò a Milano con una macchia biancastra e ridotta. E con il cuore più ricco.